mercoledì 16 febbraio 2011

Un indovino mi disse



So di amici che hanno deciso di partire: per una vacanza molto ad ovest dal punto del mondo da cui scrivo, per continuare un'esperienza che negli ultimi 5 mesi li ha portati da un'isoletta microscopica delle Azzorre fino a godere l'aurora boreale in Norvegia ed ora li aspetta un'avventura di due mesi in India, ve ne sono altri che han passato autunno e inverno a San Francisco e torneranno qua a vedere la primavera o altri ancora che li ritrovi in foto in posti sperduti di quelli che vedi solo sul National Geographic e tutto in loro parla di quel loro pezzo di vita, dai vestiti alle facce, indimenticabili. Poi ci sono quelle persone che conosci ma che ormai hai perso di vista, i compagni di scuola ad esempio, quella che magari ti stava un po' sui maroni a 16 anni ma che dopo anni la incontri e, davvero felice questa volta di vederla, ti dice: "Parto per una scuola di circo a Mosca". Ebbrezza. Di quel momento ricordo l'ebbrezza, stavo lì quasi nel centro della piazza cittadina nel buio e freddo pomeriggio invernale e annuivo a questa rivelazione sconvolgente, succhiando come una alcolizzata la smania di partire che leggevo negli occhi di Lisa. Un mito.
Insomma, se mi giro attorno vedo quello che probabilmente avrei voluto fare io ma anche se ancora sono qui, e probabilmente ci resterò a lungo, per fortuna non provo invidia. E' ammirazione quella che sento e semmai desiderio che costoro, una volta tornati, condividano un pezzo di quell'esperienza in un racconto mozzafiato, magari in una notte di ritorno da una uscita tra amici nel weekend. Amo la notte per questo genere di cose.
Nel frattempo...io viaggio dalla mia mansarda. Come recita l'incipit del mio nuovo viaggio letterario "Una buona occasione nella vita si presenta sempre" aspetto la mia e , assolutamente fiduciosa che ci sarà, vi lascio questo.
Non è che l'inizio.
Bella cosa gli inizi...già.

§ Una buona occasione nella vita si presenta sempre. Il problema è saperla riconoscere e a volte non è facile. La mia, per esempio, aveva tutta l'aria di essere una maledizione. << Attento! Nel 1993 corri un gran rischio di morire. In quell'anno non volare. Non volare mai>>, m'aveva detto un indovino.
Era successo a Hong Kong. Avevo incontrato quel vecchio cinese per caso. Sul momento quelle parole m'avevano ovviamente colpito, ma non me ne ero fatto un gran cruccio. Era la primavera del 1976, e il 1993 pareva ancora lontanissimo. Quella scadenza però non l'avevo dimenticata. M'era rimasta in mente, un po' come la data di un appuntamento a cui non si è ancora deciso se andare o no.
1977...1987...1990...1991. Sedici anni, specie se visti dalla prospettiva del primo giorno, sembrano tanti, ma, come tutti gli anni, tranne quelli dell'adolescenza, passarono velocissimi e presto mi ritrovai alla fine del 1992. Che fare? Prendere sul serio quel vecchio cinese e riorganizzare la mia vita, tenendo conto del suo avvertimento? O far finta di niente e tirare avanti dicendomi: "Al diavolo gli indovini e le loro fandonie"?
A quel punto avevo vissuto in Asia, ininterrottamente, per più di un ventennio – prima Singapore, poi a Hong Kong, Pechino, Tokyo, infine Bangkok – e pensai che il miglior modo di affrontare quella "profezia" fosse il modo asiatico: non mettercisi contro, ma piegarcisi.
"Allora ci credi?" mi stuzzicavano i colleghi-giornalisti, specie quelli occidentali, gente avvezza a voler sempre un netto sì o no a tutte le domande; anche a quelle mal poste come questa. Uno non ha bisogno di credere alle previsioni del tempo per uscire di casa con l'ombrello in una giornata nuvolosa. La pioggia è una possibilità, l'ombrello una precauzione.
Perché provocare la sorte se proprio quella ti fa un cenno, ti dà un suggerimento? Al tavolo della roulette russa quando il nero è uscito tre o quattro volte di seguito ci sono giocatori che, contando sulle probabilità statistiche, puntano allora tutto quel che hanno sul rosso. Io no. Ripunto sul nero. Non è in questo senso ce la pallina mi ha fatto l'occhiolino?
E poi a me l'idea di non volare per un anno intero piaceva di per sé. Soprattutto come sfida. Pretendere che un vecchio cinese di Hong Kong potesse avere la chiave del mio futuro mi divertiva moltissimo. Mi pareva di fare un primo passo in un terreno ignoto. Ero curioso di vedere dove altri passi in quella direzione mi avrebbero portato. Se non altro mi avrebbero indotto a fare, per un po', una vita diversa da quella di sempre.
Per anni ho viaggiato in aereo e, andando per mestiere nei posti più balordi del mondo dove sono in corso guerre, scoppiano rivoluzioni o accadono terribili disastri, mi è capitato ovviamente più di una volta di stare con il fiato sospeso, di atterrare con un motore in fiamme o con un meccanico che all'ultimissimo momento riesce, a colpi di martello in una botola aperta fra i sedili, a far scendere il carrello che si rifiutava di uscire dalla pancia.
Avessi nel 1993 ignorato la profezia e avessi volato come niente fosse, lo avrei certo fatto con una dose in più di quella solita inquietudine che prima o poi prende tutti coloro – piloti compresi – che han passato gran parte del loro tempo per aia; ma sostanzialmente avrei continuato nella mia routine: aerei, taxi, alberghi, taxi, aerei.
La profezia era la scusa. La verità è che uno a cinquantacinque anni ha una gran voglia di aggiungere un pizzico di poesia alla propria vita, di guardare al mondo con occhi nuovi, di rileggere i classici, di riscoprire che il sole sorge, che in cielo c'è la luna e che il tempo non è solo quello scandito dagli orologi. Questa era la mia occasione e non potevo lasciarmela scappare.
Il problema era come fare: rinunciare per un anno al mio lavoro? Prendere una lunga vacanza o continuare a lavorare, pure con questa limitazione? Il giornalismo è ormai dominato, come molte altre professioni, dall'elettronica. Computer, modem, velocità hanno un ruolo preponderante, la brevità e la tempestività delle immagini televisive trasmesse via satellite hanno stabilito nuovi standard e il giornalismo stampato, invece di puntare sulla riflessione e sul personale, non fa che correre dietro e cercare di imitare l'imbattibile immediatezza, e con ciò anche la superficialità, della TV.
Nei giorni del massacro sul Tien An Men, la CNN trasmetteva in diretta dalla piazza nel centro di Pechino e molti colleghi preferivano stare nella loro camera d'albergo davanti al televisore e andare a vedere di persona quel che succedeva a poche centinaia di metri. Era il modo più veloce di tenersi aggiornati, di seguire gli avvenimenti. Per giunta i loro direttori e capiredattori a migliaia di chilometri di distanza vedevano sui loro televisori le stesse immagini e quella diventava la verità, la sola. Inutile andare a cercarne un'altra.
Come avrebbero reagito i miei direttori all'idea di avere in Asia un corrispondente che, per un suo schiribizzo, decide di non volare per un intero anno? Cosa avrebbero pensato do uno che, nel 1993, diventa improvvisamente un giornalista da inizio secolo, uno di quelli che partivano allo scoppio di una guerra e spesso arrivavano quando era già finita?
L'occasione di verificarlo venne nell'ottobre 1992. Uno dei due capiredattori di Der Spiegel passò da Bangkok e una sera, dopo cena, senza tanti preamboli, gli raccontai la storia dell'indovino di Hong Kong e gli parlai della mia intenzione di passare il 1993 senza prendere aerei.
<< Ora che m'ha detto questo, come vuole che io le chieda di volare a Manila quando ci sarà il prossimo colpo di stato o in Bangladesh per il prossimo tifone? Faccia come crede>>, fu la sua risposta. Come al solito magnifici, quei miei lontani gestori! Capirono che dal quel mio sfizio poteva nascere una storia diversa, che avremmo potuto offrire al lettore qualcosa che gli altri non avevano.
La redazione di Der Spiegel mi tolse ovviamente un peso, ma non per questo presi allora la decisione. La "profezia" scattava con l'inizio dell'anno nuovo e mi riservai di decidere all'ultimissimo momento, allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre dovunque mi fossi trovato. Fu nella foresta del Laos. Il "cenone" era stato una omelette di uova di formica rosse; per brindare non c'era champagne, ma sollevando un bicchiere di acqua fresca presi formalmente con me stesso l'impegno di non cedere, per nessuna ragione, a nessun costo, alla tentazione di volare. Avrei viaggiato il mondo con ogni mezzo possibile purché non fosse un aereo, un elicottero, un aliante o un deltaplano.
Fu una splendida decisione e l'anno 1993 è finito per essere uno dei più straordinari che io abbia passato: avrei dovuto morirci e sono rinato. Quella che pareva una maledizione s'è dimostrata una vera benedizione. §

(Tiziano Terzani)

Nessun commento:

Posta un commento