domenica 5 giugno 2011

L'abbraccio

Ci fu un tempo in cui mi svegliavo un sabato mattina ed ero libera di prendere il primo treno per una qualsiasi cittadina italiana.
"Ciao, oggi non ci sono che vado fuori Pesaro" iniziava così la mia telefonata, il tono scanzonato ma deciso, deciso verso la meta designata. Dall'altro lato del telefono c'era il Lui, a 400 km di distanza che mi rispondeva con tono serafico: "Ok, quando torni? Divertiti e stai attenta". Seguivano un paio di moìne e poi ognuno per la sua strada, liberi di essere chi volevamo essere: la "fan" di Trenitalia e il fan della seduta di casa comoda.
Che semplicità, che accordo! Poche cose magari da condividere di persona ma tantissime ,ed essenziali, da condividere anche in lontananza.
Diceva una vecchia canzone che la lontananza è come il vento e fa dimenticare chi non s'ama quindi, ora che i 400 km in mezzo non ci sono più, promuovo il verso come rappresentanza assoluta di veridicità.
Bè, io sono come san Tommaso se non vedo non credo, figuriamoci poi se non tocco. Il tatto: Re dei sensi.
Comunque, ammesso che il tatto è il sovrano, è innegabile che stare senza sovrano può far comodo. Giusto per rimanere nella scia dei luoghi comuni quando il gatto non c'è i topi ballano, anche se poi magari non si mangiano il formaggio.
Facendola breve: un conto è stare ognuno a casa sua, un conto è stare entrambi in 60 metri quadri mansardati.
Non si tratta solo di abituarsi ad abbassare la testa quando ci si alza dalla seduta in fondo del divano, si tratta di abituarsi a non fare più una semplice telefonata di comunicazione quando si decide di fare una qualsiasi cosa. Non male eh?
Un bel salto..infatti me la facevo sotto. Letteralmente.
Qui però arriva la Soluzione: non pensare, fai.
Ho agito, e debbo dire che è una piacevole sorpresa tornare un giorno dagli impegni quotidiani con il letto fatto e i piatti lavati dopo che hai lanciato l'invito, invano, per settimane.
Da domani ognuno avrà ufficialmente i suoi impegni da sbrigare fuori casa per sopravvivere in questa spesso orrenda società, niente più letto sistemato e piatti lavati (chissà se si lavano da soli..uhm); rimane l'abbraccio al rientro.
Ma quello vale come un "bonus felicità" di 100 faccende domestiche risolte.

giovedì 17 febbraio 2011




### Il Laos fu psicologicamente una perfetta preparazione al mio decidere di non volare e di mettermi così, in qualche modo, fuori dal tempo.
Come paese, il laos, istintivamente, ha per anni scelto di fare lo stesso. Senza un accesso al mare, al riparo da impervie montagne che lo isolano dalla Cina e dal Vietnam, protetto dal Mekong che lo separa dalla thailandia, senza un singolo ponte che unisce le due rive, il Laos, nonostante le guerre, le invasioni e le pressioni dei suoi vicini, ha continuato nel suo antico, distaccato ritmo di vita. Il calendario anche lì dice che siamo nel ventesimo secolo, ma la testa dei laotiani resta in un'epoca tutta loro e da cui non hanno alcuna intenzione di uscire.
I thailandesi, dopo aver costruito grandi autostrade che arrivano fino alla loro sponda del Mekong, hanno in mille modi suggerito ai laotiani che sarebbe bastato un ponte per permettere loro di innestarsi al sistema stradale thai e avere così un accesso diretto al porto di Bangkok e un punto di facile ingresso per i turisti, portatori di dollari. I Lao non si sono fatti convincere. "No, grazie. Il ponte non ci serve", hanno risposto ogni volta. "Vogliamo continuare a vivere a modo nostro".
Purtroppo anche quel modo sta per tramontare. Non perché i lao abbiano improvvisamente cambiato idee, ma perché oggi un paese al bivio fra la modernizzazione-distruzione e un isolamento che conservi la sua identità è in realtà senza scelta: gli altri hanno già scelto per lui. Gli uomini d'affari, i banchieri, gli esperti delle organizzzioni internazionali, i funzionari dell'Onu e quelli dei governi di mezzo mondo sono ormai tutti convinti profeti dello "sviluppo" a ogni costo; tutti credono in una sorta di missione, per tanti versi simile a quella del generale americano che in Vietnam, dopo aver raso al suolo un villaggio occupato dai vietcong, disse, con l'orgoglio di chi è convinto d'aver compiuto un'opera meritoria: " Abbiamo dovuto distruggerlo per salvarlo".
Al Laos sta succedendo lo stesso: per salvarlo dal sottosviluppo, i nuovi missionari del materialismo e del benessere economico lo stanno distruggendo. il colpo più duro l'hanno dato gli australiani. Con l'idea di far del bene, il governo di Canberra ha costruito, a mo' di regalo, appunto un gran bel ponte sul Mekong e il Laos perde ora con quello la sua ultima verginità. Con il loro innato sospetto per tutto quel che è nuovo e moderno, i laotiani lo chiamano già "Il Ponte dell'aids".

...

Al momento basta ancora metterci piede per sentire che nel Laos c'è qualcosa di unico e di poetico nell'aria: le giornate sono lunghe e lente e la gente ha una quieta dolcezza che non si trova nel resto dell'Indocina. I francesi, che conoscevano bene i popoli delle loro colonie, dicevano: " I vietnamiti piantano riso, i khmer li stanno a guardare e i lao ascoltano il riso che cresce".
Io i piedi ce li misi per la prima volta nella primavera del 1972. Su uno dei terrazzini dell'Hotel Constellation a Vientiane, c'era una ragazza hippie, bionda, che fumava una sigaretta di marijuana così forte che se ne sentiva l'odore per tutte le scale. Vedendomi arrivare, come volesse confidarmi una formula segreta per capire tutto, mi sussurrò: " Ricordati, il Laos non è un posto; è uno stato d'animo".
Non l'avevo certo dimenticato e volevo rivedere il Laos prima che anche lui, vent'anni dopo, diventasse un posto, un posto come tutti gli altri: illuminato al neon, invaso dal cemento e dalla plastica.

...

Arrivando a Luang Prabang, l'avevo trovata affascinante come la ricordavo, acquattata nella sua valle verde e umida, circondata da picchi che paiono dipiti da un pennello cinese, dominata dalla collina di Wat Pusi da cui tutto lo splendore dei templi, costruiti in saggio disordine sulla striscia di terra fra il Mekong e il Nam Khan, appare come dovesse essere eterno.
All'alba avevo rivisto lo struggente spettacolo di centinaia di bonzi che escono dai loro monasteri e sfilano lungo l'acciottolato della via principale per ricevere le offerte di cibo dalla popolazione inginocchiata sui marciapiedi. Si, proprio quella: la via che avrebbe dovuto diventare parte dell'autostrada dell'asia! Fortunatamente - scoprii - alcuni vecchi residenti avevano trovato il coraggio di opporsi al progetto e lo stesso governatore si era pronunciato a favore di un'alternativa: un raccordo che passasse fuori dalla città. Luang Prabang dunque si salverà? Niente affatto. Un altro progetto, che nessuno mette in discussione, trasformerà l'attuale, modesta pista di atterraggio in un grande aereoporto, capace di ricevere i jumbo carichi di turisti.
Che brutta invenzione il turismo! Una delle industrie più malefiche! Ha ridotto il mondo a un enorme giardino d'infanzia, a una Disneyland senza confini. Presto anche nella vecchia, remota capitale reale del Laos sbarcheranno a migliaia questi nuovi invasori, soldati dell'impero dei consumi e, con le loro macchine fotografiche, le loro implacabili videocamere, gratteranno via quell'ultima naturale magia che lì è ancora dovunque.
Perchè in Asia quando un vecchio si vede puntare addosso una macchina fotografica, si volta, resiste, cerca di nascondersi, si copre la faccia? Lo fa perché pensa che quella macchina gli porterà via qualcosa di suo, qualcosa di prezioso che non può ritrovare. E non ha forse ragione? Non è anche nell'usura di decine di migliaia di foto, scattate da turisti distratti, che le nostre chiese hanno perso la loro sacralità, che i nostri monumenti hanno perso la loro patina di grandezza?
Il Tibet, per proteggere la propria spiritualità, ha impedito per secoli a chiunque di varcare i suoi confini ed è così che ha mantenuto la sua specialissima aura. Lì, a rompere l'incanto è stata l'invasione cinese: anche quella avvenuta, ovviamente, in nome dello sviluppo. Una delle notizie più sconcertanti che ho letto di recente è che i cinesi, per facilitare - e che altro? - l'accesso ai turisti, hanno deciso di "modernizzare" l'illuminazione del Potala, il palazzo-tempio del Dalai Lama, e ci hanno introdotto il neon. Non l'hanno certo fatto a caso: il neon uccide tutto, anche gli dei. E con loro muore sempre di più anche l'identità dei tibetani. ###

da Un indovino mi disse

mercoledì 16 febbraio 2011

Un indovino mi disse



So di amici che hanno deciso di partire: per una vacanza molto ad ovest dal punto del mondo da cui scrivo, per continuare un'esperienza che negli ultimi 5 mesi li ha portati da un'isoletta microscopica delle Azzorre fino a godere l'aurora boreale in Norvegia ed ora li aspetta un'avventura di due mesi in India, ve ne sono altri che han passato autunno e inverno a San Francisco e torneranno qua a vedere la primavera o altri ancora che li ritrovi in foto in posti sperduti di quelli che vedi solo sul National Geographic e tutto in loro parla di quel loro pezzo di vita, dai vestiti alle facce, indimenticabili. Poi ci sono quelle persone che conosci ma che ormai hai perso di vista, i compagni di scuola ad esempio, quella che magari ti stava un po' sui maroni a 16 anni ma che dopo anni la incontri e, davvero felice questa volta di vederla, ti dice: "Parto per una scuola di circo a Mosca". Ebbrezza. Di quel momento ricordo l'ebbrezza, stavo lì quasi nel centro della piazza cittadina nel buio e freddo pomeriggio invernale e annuivo a questa rivelazione sconvolgente, succhiando come una alcolizzata la smania di partire che leggevo negli occhi di Lisa. Un mito.
Insomma, se mi giro attorno vedo quello che probabilmente avrei voluto fare io ma anche se ancora sono qui, e probabilmente ci resterò a lungo, per fortuna non provo invidia. E' ammirazione quella che sento e semmai desiderio che costoro, una volta tornati, condividano un pezzo di quell'esperienza in un racconto mozzafiato, magari in una notte di ritorno da una uscita tra amici nel weekend. Amo la notte per questo genere di cose.
Nel frattempo...io viaggio dalla mia mansarda. Come recita l'incipit del mio nuovo viaggio letterario "Una buona occasione nella vita si presenta sempre" aspetto la mia e , assolutamente fiduciosa che ci sarà, vi lascio questo.
Non è che l'inizio.
Bella cosa gli inizi...già.

§ Una buona occasione nella vita si presenta sempre. Il problema è saperla riconoscere e a volte non è facile. La mia, per esempio, aveva tutta l'aria di essere una maledizione. << Attento! Nel 1993 corri un gran rischio di morire. In quell'anno non volare. Non volare mai>>, m'aveva detto un indovino.
Era successo a Hong Kong. Avevo incontrato quel vecchio cinese per caso. Sul momento quelle parole m'avevano ovviamente colpito, ma non me ne ero fatto un gran cruccio. Era la primavera del 1976, e il 1993 pareva ancora lontanissimo. Quella scadenza però non l'avevo dimenticata. M'era rimasta in mente, un po' come la data di un appuntamento a cui non si è ancora deciso se andare o no.
1977...1987...1990...1991. Sedici anni, specie se visti dalla prospettiva del primo giorno, sembrano tanti, ma, come tutti gli anni, tranne quelli dell'adolescenza, passarono velocissimi e presto mi ritrovai alla fine del 1992. Che fare? Prendere sul serio quel vecchio cinese e riorganizzare la mia vita, tenendo conto del suo avvertimento? O far finta di niente e tirare avanti dicendomi: "Al diavolo gli indovini e le loro fandonie"?
A quel punto avevo vissuto in Asia, ininterrottamente, per più di un ventennio – prima Singapore, poi a Hong Kong, Pechino, Tokyo, infine Bangkok – e pensai che il miglior modo di affrontare quella "profezia" fosse il modo asiatico: non mettercisi contro, ma piegarcisi.
"Allora ci credi?" mi stuzzicavano i colleghi-giornalisti, specie quelli occidentali, gente avvezza a voler sempre un netto sì o no a tutte le domande; anche a quelle mal poste come questa. Uno non ha bisogno di credere alle previsioni del tempo per uscire di casa con l'ombrello in una giornata nuvolosa. La pioggia è una possibilità, l'ombrello una precauzione.
Perché provocare la sorte se proprio quella ti fa un cenno, ti dà un suggerimento? Al tavolo della roulette russa quando il nero è uscito tre o quattro volte di seguito ci sono giocatori che, contando sulle probabilità statistiche, puntano allora tutto quel che hanno sul rosso. Io no. Ripunto sul nero. Non è in questo senso ce la pallina mi ha fatto l'occhiolino?
E poi a me l'idea di non volare per un anno intero piaceva di per sé. Soprattutto come sfida. Pretendere che un vecchio cinese di Hong Kong potesse avere la chiave del mio futuro mi divertiva moltissimo. Mi pareva di fare un primo passo in un terreno ignoto. Ero curioso di vedere dove altri passi in quella direzione mi avrebbero portato. Se non altro mi avrebbero indotto a fare, per un po', una vita diversa da quella di sempre.
Per anni ho viaggiato in aereo e, andando per mestiere nei posti più balordi del mondo dove sono in corso guerre, scoppiano rivoluzioni o accadono terribili disastri, mi è capitato ovviamente più di una volta di stare con il fiato sospeso, di atterrare con un motore in fiamme o con un meccanico che all'ultimissimo momento riesce, a colpi di martello in una botola aperta fra i sedili, a far scendere il carrello che si rifiutava di uscire dalla pancia.
Avessi nel 1993 ignorato la profezia e avessi volato come niente fosse, lo avrei certo fatto con una dose in più di quella solita inquietudine che prima o poi prende tutti coloro – piloti compresi – che han passato gran parte del loro tempo per aia; ma sostanzialmente avrei continuato nella mia routine: aerei, taxi, alberghi, taxi, aerei.
La profezia era la scusa. La verità è che uno a cinquantacinque anni ha una gran voglia di aggiungere un pizzico di poesia alla propria vita, di guardare al mondo con occhi nuovi, di rileggere i classici, di riscoprire che il sole sorge, che in cielo c'è la luna e che il tempo non è solo quello scandito dagli orologi. Questa era la mia occasione e non potevo lasciarmela scappare.
Il problema era come fare: rinunciare per un anno al mio lavoro? Prendere una lunga vacanza o continuare a lavorare, pure con questa limitazione? Il giornalismo è ormai dominato, come molte altre professioni, dall'elettronica. Computer, modem, velocità hanno un ruolo preponderante, la brevità e la tempestività delle immagini televisive trasmesse via satellite hanno stabilito nuovi standard e il giornalismo stampato, invece di puntare sulla riflessione e sul personale, non fa che correre dietro e cercare di imitare l'imbattibile immediatezza, e con ciò anche la superficialità, della TV.
Nei giorni del massacro sul Tien An Men, la CNN trasmetteva in diretta dalla piazza nel centro di Pechino e molti colleghi preferivano stare nella loro camera d'albergo davanti al televisore e andare a vedere di persona quel che succedeva a poche centinaia di metri. Era il modo più veloce di tenersi aggiornati, di seguire gli avvenimenti. Per giunta i loro direttori e capiredattori a migliaia di chilometri di distanza vedevano sui loro televisori le stesse immagini e quella diventava la verità, la sola. Inutile andare a cercarne un'altra.
Come avrebbero reagito i miei direttori all'idea di avere in Asia un corrispondente che, per un suo schiribizzo, decide di non volare per un intero anno? Cosa avrebbero pensato do uno che, nel 1993, diventa improvvisamente un giornalista da inizio secolo, uno di quelli che partivano allo scoppio di una guerra e spesso arrivavano quando era già finita?
L'occasione di verificarlo venne nell'ottobre 1992. Uno dei due capiredattori di Der Spiegel passò da Bangkok e una sera, dopo cena, senza tanti preamboli, gli raccontai la storia dell'indovino di Hong Kong e gli parlai della mia intenzione di passare il 1993 senza prendere aerei.
<< Ora che m'ha detto questo, come vuole che io le chieda di volare a Manila quando ci sarà il prossimo colpo di stato o in Bangladesh per il prossimo tifone? Faccia come crede>>, fu la sua risposta. Come al solito magnifici, quei miei lontani gestori! Capirono che dal quel mio sfizio poteva nascere una storia diversa, che avremmo potuto offrire al lettore qualcosa che gli altri non avevano.
La redazione di Der Spiegel mi tolse ovviamente un peso, ma non per questo presi allora la decisione. La "profezia" scattava con l'inizio dell'anno nuovo e mi riservai di decidere all'ultimissimo momento, allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre dovunque mi fossi trovato. Fu nella foresta del Laos. Il "cenone" era stato una omelette di uova di formica rosse; per brindare non c'era champagne, ma sollevando un bicchiere di acqua fresca presi formalmente con me stesso l'impegno di non cedere, per nessuna ragione, a nessun costo, alla tentazione di volare. Avrei viaggiato il mondo con ogni mezzo possibile purché non fosse un aereo, un elicottero, un aliante o un deltaplano.
Fu una splendida decisione e l'anno 1993 è finito per essere uno dei più straordinari che io abbia passato: avrei dovuto morirci e sono rinato. Quella che pareva una maledizione s'è dimostrata una vera benedizione. §

(Tiziano Terzani)

martedì 1 febbraio 2011

Quello che non ho è una camicia bianca,
quello che non ho è un segreto in banca,
quello che non ho sono le tue pistole,
per conquistarmi il cielo per guadagnarmi il sole.

Quello che non ho è di farla franca,
quello che non ho è quel che non mi manca,
quello che non ho sono le tue parole,
per guadagnarmi il cielo per conquistarmi il sole.

Quello che non ho è un orologio avanti,
per correre più in fretta e avervi più distanti,
quello che non ho è un treno arrugginito,
che mi riporti indietro da dove sono partito.

Quello che non ho sono i tuoi denti d'oro,
quello che non ho è un pranzo di lavoro,
quello che non ho è questa prateria,
per correre più forte della malinconia.

Quello che non ho sono le mani in pasta,
quello che non ho è un indirizzo in tasca,
quello che non ho sei tu dalla mia parte,
quello che non ho è di fregarti a carte.

Quello che non ho è una camicia bianca,
quello che non ho è di farla franca,
quello che non ho sono le sue pistole,
per conquistarmi il cielo per guadagnarmi il sole.

Quello che non ho...

martedì 18 gennaio 2011

Nebbia


La nebbia solitamente non gode di una grande fama e neppure di grande amore trasversale. IncontrarLa in autostrada ad esempio allontana temporalmente due città che spazialmente si trovano sempre alla stessa distanza: un Pesaro-Rimini percorribile in 25 minuti può tranquillamente raddoppiare costringendoti a una brusca frenata dai 110 ai 50 km/h.
Vien da se che se uno ha fretta..be..imprecherà. Ma è Lei che comanda, non si sfugge.
Ma...qui viene il bello secondo me, se siete a casa al caldo magari sorseggiando qualcosa di bollente o una freschissima birretta (rossa, please ;) ) la nebbia acquista una sua ragione d'essere, specie di sera: la casa dell'odiato vicino incredibilmente scompare, la colonna delle auto ferme al semaforo assumono i contorni di luci lontane di alberi di Natale o di luminarie che per qualche motivo a te sconosciuto non sono ancora state riposte nelle cantine o nei magazzini del comune.
Camminando "a memoria" tra le strade, ci sono poi le persone..sbucano dal nulla..prima non c'era nessuno (ci avresti giurato!) e un attimo dopo alzi la testa e son li, davanti a te. Sono contorni, nulla di più.
Contorno dopo contorno ecco che Lei fa la sua magia, che chiaramente non cogli finchè non ci sei quasi andato a sbattere... e anche in questo, Lei, ti beffa mettendo in chiaro il suo potere.
Prendi così definitivamente atto che quella sorta di cumolinembi scuri ad altezza uomo son davvero persone, alzi gli occhi e anche se non avrai i capelli in perfetta piega a causa dell'umidità impressionante, sarai comunque contento di vedere una faccia conosciuta che non vedevi da tempo.
È un attimo, come un lampo.
Ti si stampa un sorriso dapprima ebete, poi sorpreso e felice.
Il resto sono chiacchiere tra amici e un'ultima, ulteriore, dissolvenza.

venerdì 7 gennaio 2011

Missione scientifica

Voglio scoprire una buona volta se non dando si riceve.
Se c'è un fondo di verità nello spirito cinico di chi dice che "più dai, meno ricevi"; non riesco d'altronde a capire come io non abbia mai fatto mia questa pratica..eppure son stata tacciata di cinismo ben più di una volta! Mistero :D
Bo..qualcosa non mi torna, inizio quasi a dubitare di quei bellissimi miei commenti sfascia-illusioni, sfascia-romanticismi, sfascia-mar(r)oni che ogni tanto indorano le mie labbra! XD
Siamo matti? Devo porre rimedio, visto che a fare la buona samaritana non ottengo nulla sarà il caso di inserire questa mission tra i buoni propositi del 2011.
Tanto, nulla adesso o nulla dopo di sicuro non ci rimetto. Brava ragazza, astuta. XD
Mui bien!
Salut!