martedì 28 settembre 2010

"Solo" una cena

"Ricordi quel mio compagno di Roma, vicino Roma..dalle parti di Terni, che era venuto qua con la famiglia in vacanza anni fa? Era un mio amico al militare..".
"Be babbo..chi se lo ricorda" abbozzo mentre azzanno un boccone di merluzzo. "Ma quanto tempo fa?". "Avrai avuto tre o quattro anni.." ribatte lui versandosi un bicchiere di vino rosso. Inutile dire che non ho proprio idea di chi stia parlando ma lo lascio proseguire.
"L'altra sera mi è venuto in mente e domenica ho cercato il suo numero sull'elenco, gli ho telefonato".
"Che hai fatto?" la mia voce si fa quasi stridula: "ma da quanto non lo sentivi?".
"Più o meno vent'anni direi", lo sguardo di mio padre si fa per un attimo cupo. Io non colgo li per li o non capisco: " Quindi?".
"Quindi gli ho telefonato e mi ha risposto la moglie a cui ho detto di essere Giorgio da Pesaro" tutti a tavola ci fermiamo, sospesi, solo noi tre in una bolla, una nicchia spazio temporale che poi esplode: "mi ha riconosciuto subito e quasi le si è strozzata la voce in gola. Mi ha detto che è morto, due anni fa sotto Natale, e che se fosse riuscito a guarirsi gli sarebbe piaciuto tornare a Pesaro al mare. È per quello che nonostante gli anni trascorsi mi ha riconosciuto subito".
Non ce l'ha fatta e ne è seguita una telefonata revival di parecchie decine di minuti, ma è quasi incredibile come certi legami nonostante la distanza, il tempo e l'assoluta mancanza di logica siano semplicemente destinati a essere, a lasciare un segno.
Ancora una volta inoltre mi accorgo di come mio padre sia un uomo dotato di uscite quantomeno originali.

lunedì 27 settembre 2010

Go home

Qualche ora e si torna a casa

sabato 25 settembre 2010

Di un pomeriggio


Ogni volta che torno nella capitale l'essere umano mi sorprende.
Ammetto che tutto ciò sorprende anche me che non vivo proprio in un paesello sperduto, dove becchi l'estraneo al primo colpo d'occhio.
La metro, ma soprattutto l'autobus, offrono scorci d'umanità bislacca, nel migliore dei casi originale e nel peggiore carichi di una palpabile sensazione di generale indifferenza.
Ore 16:00 circa, a ridosso del Colosseo stiamo cercando un qualsiasi bar abbordabile per una ricarica di caffeina, si apre un grosso portone qualche passo avanti a noi e ne esce una signora sicuramente con qualche problema, un abbozzo di vestiario, capelli corti confusi, si mette a urlare e a fare qualche suono gutturale. Il tempo di uno sguardo, di un paio di domande tra me e me, tra me e chi è con me ma nulla, già le siamo passati davanti come se nulla fosse.. appunto, come nulla fosse..
Susseguono, molto riassumendo: un tizio barcollante che non vede lo scalino sul marciapiede sul quale sto camminando, furiosi trombettisti d'auto, gente tirata da gran sera che fa lo slalom sui sampietrini, gruppo di giapponesi con una media di 2 Nikon al collo, una bestemmia per un parcheggio, graziosi ragazzotti che rullano a Colle Oppio e un'ora dopo, in un autobus, un signore con uno di quei carrelli in stoffa e rotelline per la spesa con dentro un giochino o chissà cosa che per tutto il viaggio suona a intervalli regolari "Per Elisa".
Ah, dimenticavo..nell'autobus anche una tipa con pantaloni blu elettrico e una canotta a scacchettini bianchi e rossi, esattamente come le tovaglie da osterie e con un animale non ben identificato sul davanti che al quarto inizio di Beethoven alza gli occhi al cielo: io, in un ordinario pomeriggio romano.

giovedì 23 settembre 2010

Come una pugnalata

Mi sveglio, la radiosveglia mi dice che è ancora presto e via che rimango a sonnecchiare un'altra mezzora: nulla di più normale, tutto regolare. Solito e pulito.

Accendo il pc già prima di svoltare a sinistra per il bagno, è come un rito ormai e magari qualcuno dirà che è un'ossessione, pazienza.

Insomma, a farla breve, una mattina come un'altra, un giovedi tranquillo.

E invece no e la cosa bella è che non so neppure perché poi ha preso tutta un'altra piega, tanto che non ricordo piu neppure come ci sono arrivata, tra un clic e un morso al cornetto, a leggere di gente che si è trasferita in Svezia.

Che botta!

Per le 11 ero già immersa nella forsennata lettura di Silvia e Gabriele, lei medico e lui metereologo, che han salutato il bel paese e se ne sono andati a Norrköping. Scorro, clicco, guardo le date, leggo della burocrazia, delle ansie e delle gioie..mi pare quasi di essere li o come se stessi vedendo un film in tv, uguale. Apro i commenti, c'è davvero un sacco di roba, un sacco di gente che si complimenta della scelta, intrusi che man mano diventano “amici” che dispensano consigli e che danno il loro piccolo, virtuale contributo e in un paio d'ore, letteralmente volate, mi accorgo che c'è uno stuolo di giovani Italiani là fuori, in Svezia... e questo non è più solo virtuale, è Reale.

Non che non lo sapessi che la gente viaggia, si sposta e si trasferisce ma oggi riscoprirlo è stato come riscoprire me qualche anno fa e la prima domanda, a suo modo terribile, è stata: “Be? Che fine hai fatto?”. Confesso che ci ho messo un po a elaborare il lutto e tornare a dirmi che son sempre io e che posso sempre farlo.

Se lo han fatto loro, perchè non io? Chissà, giusto?

Ci vogliono le “palle”, scusate il francesismo, ci vogliono..ci vuole..che ci vuole?