sabato 25 settembre 2010

Di un pomeriggio


Ogni volta che torno nella capitale l'essere umano mi sorprende.
Ammetto che tutto ciò sorprende anche me che non vivo proprio in un paesello sperduto, dove becchi l'estraneo al primo colpo d'occhio.
La metro, ma soprattutto l'autobus, offrono scorci d'umanità bislacca, nel migliore dei casi originale e nel peggiore carichi di una palpabile sensazione di generale indifferenza.
Ore 16:00 circa, a ridosso del Colosseo stiamo cercando un qualsiasi bar abbordabile per una ricarica di caffeina, si apre un grosso portone qualche passo avanti a noi e ne esce una signora sicuramente con qualche problema, un abbozzo di vestiario, capelli corti confusi, si mette a urlare e a fare qualche suono gutturale. Il tempo di uno sguardo, di un paio di domande tra me e me, tra me e chi è con me ma nulla, già le siamo passati davanti come se nulla fosse.. appunto, come nulla fosse..
Susseguono, molto riassumendo: un tizio barcollante che non vede lo scalino sul marciapiede sul quale sto camminando, furiosi trombettisti d'auto, gente tirata da gran sera che fa lo slalom sui sampietrini, gruppo di giapponesi con una media di 2 Nikon al collo, una bestemmia per un parcheggio, graziosi ragazzotti che rullano a Colle Oppio e un'ora dopo, in un autobus, un signore con uno di quei carrelli in stoffa e rotelline per la spesa con dentro un giochino o chissà cosa che per tutto il viaggio suona a intervalli regolari "Per Elisa".
Ah, dimenticavo..nell'autobus anche una tipa con pantaloni blu elettrico e una canotta a scacchettini bianchi e rossi, esattamente come le tovaglie da osterie e con un animale non ben identificato sul davanti che al quarto inizio di Beethoven alza gli occhi al cielo: io, in un ordinario pomeriggio romano.

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